Era…

15Apr11

Era come correre a perdifiato senza dover mai essere costretto a voltare lo sguardo indietro; ed era una corsa folle, era la corsa verso la bellezza. Quella bellezza che avevo cercato, quella bellezza che avevo invocato, quella bellezza che avevo implorato era davanti a me in attesa di sentirsi riempita dal palpito che, senza mai fermarsi, voleva farsi suo. E cos’era la bellezza se non sublime epifania della follia?

Era la corsa verso la libertà, verso la ritrovata libertà. Quella libertà che aspettava di farsi gioia liberante, urlo verso l’infinito che voleva soltanto ascoltare la felicità. Quella libertà che bramava alzarsi su una miseria che ora incontrava il suo epilogo. Quell’ardente libertà che aspettava occhi nuovi.

Era la corsa verso la luce.

E correvo. Correvo sostenuto dalla voglia incontenibile di raggiungere presto il luogo in cui avrei potuto, finalmente, cingermi d’ogni mio desiderio.

Era vita. E lo sarebbe stata di nuovo. Per sempre.

Era come sentir scorrere la linfa di un’umanità che credevo persa, completamente, quasi senza aver lasciato traccia della sua pur mirabile vitalità. Ed in quella folle corsa tutto sembrava ri-trovare un senso, quasi che l’incontrollabile caleidoscopio volesse restituirmi la fissità grandiosa di un disegno che si ricomponeva sotto i miei palpiti.

Sotto i miei passi veloci.

E sotto il mio incessante ansimare.

Era un cielo celeste, era un cielo luminoso, era un cielo immenso.

Era il volo di un’aquila, era il sussurro di una carezza.

Era la gratitudine per gli incontri che avevano determinato il percorso della folle corsa, per quelle rotte di collisione che ne avevano mutato l’andamento, per le soste che ne avevano aumentato la durata.

Ed era pure la riconoscenza per i samaritani – e per le samaritane- che si erano inginocchiati a prendersi cura delle mie ferite.

Era la considerazione che le antiche solitudini s’eran fatte ombre di un passato che s’allontanava, di un passato che cercava l’oblìo per abbandonarsi, e per abbracciare il silenzio di un tempo che doveva solamente sedimentarsi sulle pieghe di un animo non ancora pago ma desideroso di conoscere un nuovo incedere.

Era il timore di non farcela.

Era la paura di alzare lo sguardo.

Era l’ansia di voltare.

Era gioia, incontenibile.

Era il suono di una musica che non avevo mai ascoltato e che, però, era sempre stata dentro di me. Era il suono di una musica che non avevo mai suonato ma la cui melodia apparteneva ai miei slanci, era tra le mie dita, accarezzava i miei pensieri. Ed era ancora.

Era il desiderio di sentirmi. Di sentirmi mio, totalmente.

Ed era il desiderio di sentire mio il mondo.

Era la malinconia dei giorni trascorsi a cercare la grammatica delle emozioni che, pure, mi appartenevano. Da sempre.

Era il ricordo di uno sguardo privato dell’originaria fierezza e costretto a tenersi basso, ad avvolgersi su sé stesso per il timore di dover incontrare il rifiuto. Per il timore di doversi scontrare con le fragilità e le insicurezze di un mondo che era pure suo. Era il ricordo di uno sguardo timido ma non pavido. Era il ricordo in uno sguardo intrepido, malgrado tutto.

Era l’ansia di ritrovarmi.

Era il desiderio di ritrovare il mondo.

Erano l’ansia ed il desiderio di ritrovare il sorriso, quel sorriso che, da qualche parte, s’era smarrito nel groviglio dei giorni.

Era la voglia irrefrenabile di continuare a correre. Follemente. Come accadeva ormai da tempo. E come sarebbe stato, per sempre.

Era la corsa della vita.


S’approssima la luce di un nuovo giorno, ed una nuova rassicurante alba scalderà l’incedere di un mondo stanco.

E ch’è chi, oggi, assapora una nuova gioia costruita sulla memoria di un evento, di un lieto evento. E proprio quel mondo stanco, d’improvviso, ha voglia di farsi Infinito, di perdersi nelle celesti note di una melodia senza fine che aspetta solamente d’essere ascoltata, col cuore e non soltanto con l’orecchio.

E’ ancora buio, lo sarà per un po’! Eppure nelle tenebre l’accenno di una consolazione che sta per schiudersi, di una carezza che sta per arrivare, di un abbraccio che aspetta d’essere colto. Con trasporto.

E c’è chi si aspetta il clamore di un accadimento capace di sorprendere; la sopresa sia nel gusto di una scoperta leggiadra, nel gusto di una scoperta unicamente guidata dall’emozione di avvicinarsi al dolce e rassicurante palpito di un cuore che vuol farsi atrio. Atrio d’umanità, atrio di una perduta umanità.

Un tempo carico d’affanni trovi il tempo per una lieve concessione, e l’inesorabile clessidra si faccia dispensatrice d’Infinito.

E sia gioia, ancora una volta!

E sia gioia, ancora una volta, e malgrado le tristezze di una vita che muore e di un palpito che si spegne. Raccolgo lacrime silenti e timide, richiami di un tempo che non è più e che pure vive in un luogo che è ancora, e che sempre sarà. Ed il viaggio non finisce…

Amico mio, cos’è la morte? Forse è la vita che non è più, è quella vita che era fino a poco fa. Ed è ancora vita, altrove!

Non avrai bisogno di cercare, nè di chiamare, chi ora è davvero parte di te perchè in te ha trovato sicuro e consolante approdo; ed ora il  tuo cuore non farà più a meno di quel sorriso che non potrai più vedere e di quella voce che non potrai più sentire.

E piangere sarà quasi come ridere, ti apparterrà. Ci apparterrà!

Ti abbraccio.

R.


Magnificat

18Set10

La trepidazione che, solitamente, si accompagna ad un evento, ad una novità, a qualcosa che arriva inaspettato è una sensazione che si fa stato d’animo. Ieri sera, e senza che io dessi evidente peso alla sollecitazione, un amico mi chiedeva del blog incitandomi peraltro a procedere con l’allestimento:” Lo trovo freddino e vuoto”; certo, non posso negare che ciò non sia vero.

Non vorrei, però, farmi prendere dall’ansia da prestazione, dover accelerare ogni utile e necessario passaggio che necessita spesso di tempi non propriamente veloci ma, soprattutto non vorrei costringere e comprimere tutto in una devastante morbosità voyeuristica unicamente interessata ad insinuarsi per placare una curiosità innaturale e forzata. Nulla di tutto ciò!

Voglio potermi godere anche la lentezza di un processo di costituzione, di un’idea che, senza fretta alcuna, diventa concretamente visibile e condivisibile.

Voglio andare incontro alla sorpresa di un lavoro in corso d’opera e,  dovendo anche apprendere i rudimenti di questo complicato mondo, voglio anche poter sbagliare e correggermi, combinar pasticci e tornar indietro. Voglio che tutto segua il percorso che gli è più congeniale ed appropriato. Senza fughe, senza frenesie, senza incalzanti doveri di dare compimento.

In effetti non so neanche se il blog sia lo strumento più funzionale a ciò che ho in mente ma provare, e provarlo, mi esalta e mi diverte.

Una categorizzazione estrema ed una precisa divisione per aree di discussione ed argomenti forse non è neanche ciò che cerco; anche su suggerimento di qualche amico esperto, penserei più ad un flusso di coscienza che prenda corpo su un interminabile foglio bianco. Un foglio bianco che diventa tabula rasa su cui incedere tutto ciò che attraversa la mente ed il cuore.

E come iniziare un’avventura del genere se non cantando il Magnificat?

Ecco perchè la scelta di postare il link all’inizio di questo articolo.

Dopo un appassionato Fiat, ora è tempo di un esaltante Magnificat!

Il resto verrà…

R.


Fiat!

14Set10

Con le doglie di un parto, con la trepidazione di un evento, con lo stupore di una scoperta. Arriva Longitudinezero, un guado da attraversare.